Una carogna!

UNA CAROGNA
Conosco da tempo il lavoro di Joel-Peter-Witkin, ma quando incrocio le sue fotografie, non so bene cosa pensare!
Mi piace, non fraintendetemi, una specie di mi piace con annesso brivido lungo la schiena. Anche il pronunciare ” il fotografo i cui soggetti sono morti” mi esce dalle labbra con una smorfia rigida.
La sua composizione eccezionale, le pose quasi provocanti e l’atmosfera delle foto mi ipnotizzano come di fronte a qualcosa che non avrei diritto di vedere.
Lo sgretolarsi, il dissolversi di un corpo morto mi attira, come sbirciare dietro le quinte di un sipario che sta per chiudersi.
Me ne sto li, disgustata e incollata.
Dirvi che qualche immagine mi risuona vagamente erotica, mi fa un po’ trasalire, ma e’ così. A voi cosa comunica questo autore?

15 pensieri su “Una carogna!

  1. Il lavoro di witkin mette in evidenza come la fotografia sia connaturata con la realtà e la responsabilità che ne consegue. Nella storia dell’arte la morte è raffigurata ed interpretata inevitabilmente in maniera simbolica (il cristo del mantegna, le allegorie di Bosch). Ma il fatto che Witkin vada a cercare in compiacenti obitori cadaveri di persone abbandonate in vita (homeless, miserabili, poveri) e a farne scempio (il trittico dei vecchi sezionati, ad esempio) mi urta e mi offende aldilà dell’apprezzamento estetico ed artistico

    • Ciao Francesco, si è particolarmente raccapricciante, ma la fotografia in generale e’ piena di cadaveri, sistemati ai fini fotografici. In altri settori ci indignamo meno perché presupponiamo un intento documentativo piuttosto che concettuale! Non so, non riesco a giudicare per questo!

      • E infatti, come scrivevo, la pittura e la fotografia si distinguono per la responsabilità etica verso ciò che è fuori del frame. Le foto di witkin mi attraggono esteticamente quanto Bosch e certe rappresentazioni macabre medioevali e barocche. Witkin in questa compulsione si “assolve” facendola risalire allo stress post traumatico beccatosi in Vietnam. Ma dalla mia parte mi indigna pensare che far parte di un’opera con quotazioni altissime sia l’ultimo spregio nei confronti di un essere umani morto per strada in miseria e di cui nessuno reclama il corpo o paga per un funerale. Poi lo so che tanti reporter di guerra sistema cadaveri per un’inquadratura perfetta, ma nessuno dei due – fotografo e vittima – son li per altre ragioni che la guerra.
        Però, ripeto, secondo me Witkin è paradigmatico (con un esempio negativo) delle maggiori responsabilità etiche della fotografia nel campo delle discipline artistiche. E io non sono un reporte IMHO 🙂

  2. Comunque la si pensi questo è un tormento interiore, demoni che non lasciano la mente. Immagini spaventosamente macabre rese ancora più forti dal fatto che sono fotografie e non dipinti. Non credo che l’autore usi cadaveri solo per impressionare e vendere.
    Io ne sono angosciosamente attratto

  3. Pur riconoscendo a Witkin una grande capacità compositiva, un innato senso “gotico” dell’immagine, trovo inquietante l’effetto voyeuristico che ha sull’osservatore. La morte e la sua rappresentazione, tantopiù se fotografica, è paradossalmente attraente, forse per una sorta di tentativo di esorcizzazione. Per questo ne sono affascinato ed, al contempo, disturbato. Mixed feeling….. Ma questo, forse, è ciò che i suoi lavori vogliono trasmettere realmente. Ecco, pur con contrastanti emozioni, potrei affermare che qui siamo nel campo dell’arte.

  4. Pingback: Roger Ballen, l’ombra della mente | MU.SA.

    • Ciao, effettivamente hanno qualcosa in comune. Vanno a toccare corde che pochi fotografi sanno smuovere. Mi piacciono e colpiscono molto tutti e due! Ciao Sara

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